Daniele Grassi

Daniele Grassi, originario di Morra, ma presto emigrato lontano dalla terra d’origine, novant’anni portati con fierezza, ospite ieri mattina al liceo Imbriani di Avellino. Un incontro che è stato innanzitutto l’occasione per celebrare il valore della poesia e in fondo dell’arte. “Che si tratti di letteratura, musica o pittura, – spiega Grassi – l’arte non è solo bellezza ma nasconde verità profonde, legate al rapporto tra l’individuo e la società. La poesia nasce sempre da un’esigenza esistenziale. Non può non essere autobiografica anche se non cerca mai i riflettori”. Ecco perchè, ribadisce il poeta, “la poesia non è mai la copia del già detto ma deve essere invenzione, pur nutrendosi sempre della tradizione. Né può prescindere da un tentativo di innovazione linguistica. Da parte mia, non ho mai smesso di guardare alla tradizione dei grandi poeti italiani, da Jacopone a Dante, non ho mai voluto rinunciare a questa ricchezza linguistica, né ho mai pensato che la poesia dovesse raccontare la realtà in maniera sibillina”. Una passione, quella per la poesia, che è stata la costante della sua vita, sin da quando “frequentavo un collegio gestito da preti, dove era proibito leggere la “Divina Commedia” di Dante Alighieri. Durante le lezioni, ricordo che sotto il banco passavo ore ed ore a copiare di nascosto le rime dei poeti. Poiché quando ciascuno ha una passione, riesce sempre a reinventarsi la vita sulla base di quella passione, anche se costretto in una cella. Se oggi posso scrivere endecasillabi, è perché Dante mi è entrato nel sangue”. Un percorso, quello di Grassi, che lo ha condotto dapprima come studente alla Normale di Pisa e poi all’Università di Monaco, dove è diventato docente di letteratura italiana, amico di poeti come Mario Luzi e artisti come Emilio Greco. E agli studenti che gli chiedono perché si sia sempre definito uno “studioso arrabbiato” risponde che la rabbia nasceva dalla “voglia di studiare che non riuscivo mai a soddisfare. Quando i miei insegnanti mi assegnavano un compito, facevo sempre il doppio o il triplo di quello che mi avevano chiesto. Del resto, la vita in un paesino come Morra de Sanctis, prevalentemente contadino, ancora caratterizzato dalla miseria, era a volte intollerabile e la scuola era l’unica occasione che avevamo per uscire da un mondo che appariva così ristretto. Eravamo poveri ma il maestro raccomandò a mia madre di farmi studiare ed è stata la mia salvezza”. Una raccomandazione che rivolge anche ai ragazzi, esortandoli a scoprire il valore della poesia, che è: “spaesamento ed è sempre stata il rifugio della mia vita, imparate ad amarla e ricordatevi che solo studiando sarete la luce della società”. Non nasconde la gioia per il suo ritorno in Irpinia: “Essere qui con voi è il regalo più bello che potesse farmi la mia terra”. Racconta la sua passione per l’arte moderna e insieme per quella africana: “Fin da quando ho cominciato a guadagnare qualche soldino, mi sono dedicato al collezionismo di opere di arte contemporanea, fino alla scoperta delle suggestioni dell’arte africana, un universo che non conoscevo. Oggi conservo circa 700 pezzi artistici, tra questi uno appartenuto al grande Apollinaire. Dietro ogni maschera si nascondono riti e miti che appartengono alla tradizione degli antenati. Ed è proprio la dimensione del mito ad aver sempre fatto parte della mia poesia, insieme alla memoria e al sogno. Del resto, la pittura e la poesia sono solo linguaggi differenti ma nascono dalla stessa esigenza. Ecco perché ho sempre cercato anche di conoscere gli artisti di cui apprezzavo le opere, pensavo che in questo modo avrei compreso meglio la loro arte. Era questo un modo per entrare nella bottega dell’artista”.
Ad introdurre il dibattito, impreziosito dalle domande rivolte al poeta dagli studenti, – ad accompagnare Grassi la figlia Antonietta Covino e la moglie – il prof. Raffaele La Sala e il dirigente Tullio Faia.

dal Quotidiano del Sud

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